L'infarto miocardico si manifesta quando le cellule del cuore
muoiono in seguito all'occlusione totale prolungata di un'arteria
coronarica.
L'infarto è la malattia cardiaca più comune
(sono oltre 150.000 i nuovi casi che si verificano in Italia, dove
ci sono più di 1.500.000 di infartuati). Nel 65% dei casi
l'infarto colpisce senza alcun preavviso, come un
fulmine a ciel sereno. Ed è spesso anche poco prevedibile, perché l'arteria
coronaria che occludendosi improvvisamente causa l'infarto, nel 70%
dei casi ha solo un'ostruzione (placca) lieve, e quindi qualsiasi test,
inclusa la coronarografia,
ha un potere predittivo molto limitato. L'occlusione della coronaria è associata
alla rottura di questa placca aterosclerotica e alla formazione di un trombo
ricco di
piastrine
nella
parte interna
del vaso
(proprio nella sede della rottura), con successiva formazione (organizzazione)
di un trombo ricco di fibrina che si proietta nel lume.
Per ridurre il rischio di
infarto, non disponiamo ancora di metodi di prevenzione assoluti. E'
comunque opportuno ridurre
i fattori di rischio (fumare, 'ipertensione
arteriosa, colesterolo alto, diabete, stress psicofisico, sovrappeso).
Che fare se si ritiene di essere vittima di un infarto?
La
terapia è una lotta contro il tempo: prima si riapre la coronaria
occlusa, più piccolo sarà l'infarto. Appena iniziano i sintomi
sospetti,
quindi, bisogna prendere un'aspirina e farsi portare al più vicino
Pronto Soccorso per eseguire un elettrocardiogramma (ECG) per confermare
la diagnosi, e dove si cercherà di
riaprire tempestivamente la coronaria chiusa.
La terapia attualmente più praticata
in Italia, perché non richiede
la presenza costante in ospedale di un'équipe specializzata, consiste
nel somministrare alcuni farmaci, i cosiddetti trombolitici, per sciogliere
il coagulo che impedisce una corretta ossigenazione del muscolo cardiaco
(terapia trombolitica). Purtroppo
solo la metà circa
degli infartuati risponde prontamente alla "trombolisi" con rapido scioglimento
del coagulo occlusivo e riapertura
della coronaria.
Terapia dell'infarto: meglio l’angioplastica
del trombolitico
In caso di
infarto, all'arrivo in Pronto soccorso, l'intervento più efficace è la
cosiddetta angioplastica, che prevede
la riapertura del vaso cardiaco chiuso mediante
una sonda infilata attraverso l'arteria femorale fino alle coronarie
ostruite. Recenti studi pubblicati confermano inoltre
che l’angioplastica è assai più efficace dei farmaci,
anche se il centro attrezzato non è quello più vicino.
Tutti i vantaggi dell’angioplastica
L’angioplastica riduce la
mortalità, la percentuale di secondi infarti non fatali,
di successivi ricoveri per
angina (dolore al petto
che è spia di un malfunzionamento delle
coronarie), e soprattutto azzera il rischio di ictus, che si verifica,
invece, in quasi il 2 per cento dei casi in cui vengono somministrati
i farmaci trombolitici. E il beneficio è evidente a breve, medio
e lungo termine: secondo alcune valutazioni attendibili ogni 1.000 infartuati,
l'angioplastica o è in grado, rispetto alla trombolisi, di salvare
20 vite, prevenire 43 reinfarti, evitare 10 ictus e 13 emorragie intracraniche.
Alcune difficoltà
L'esecuzione di un'angioplastica (quasi sempre con impianto di stent)
su tutti coloro che hanno un infarto è tutt'altro
che semplice, perchè è fattibile solamente
negli ospedali dotati di un laboratorio
di emodinamica e
di una equipe medico-infermieristica preparata
e disponibile 24 ore su 24 per 365 giorni l'anno ad eseguire l'intervento.
Il costo iniziale dell'angioplastica per l'amministrazione dell'ospedale
è maggiore del costo della terapia trombolitica (che ammonta a circa
1.700
euro
per
paziente
a sfavore
del
trattamento con angioplastica. Tuttavia, il costo
per il sistema sanitario dei due trattamenti si riduce a circa 600 € dopo
sei mesi di distanza ed è destinata
a capovolgersi col passare del tempo a favore dell’angioplastica:
il risparmio, infatti, si applica soprattutto sulla minore necessità di
assistenza, farmaci e riabilitazione dei malati, nonché su un
loro più rapido ritorno al lavoro e alla vita produttiva.
Dopo l'infarto
Dal terzo giorno successivo all'infarto (cioè alla
morte di una parte delle cellule che compongono il muscolo cardiaco,
perchè non
hanno ricevuto un sufficiente
apporto di sangue per la prolungata
ostruzione della coronaria, non prontamente riaperta),
comincia
la rimozione
del tessuto morto, per circa due settimane, sino a sostituire
la
zona infartuata (morta) con un tessuto cicatriziale, processo che dura
fra le due e le otto settimane. L'ubicazione e l'entità dell'infarto
dipende dall'arteria occlusa e dal fatto che si siano potute aprire o
meno, durante l'occusione della coronaria responsabile dell'infarto,
delle vie alternative
per l'apporto di sangue alla zona corispondente al vaso occluso. L'apertura
di queste vie
alternative ("circoli collaterali") necessita di parecchie
ore, ed è un processo che avviene spontanemente nel cuore quando
una parte del muscolo cardiaco non è ben irrorata. Nell'ipotesi
peggiore, se l'arteria coronaria
non si riapre (rimane
chiusa) e non si crea prontamente un circolo collaterale, l'infarto
è più esteso interessando tutto lo spessore della parete
("infarto
transmurale"); il danno è invece certamente minore nella
situazione più favorevole in cui il vaso
si riapre (o spontamente o dopo somminitrazione di farmaci, e/o viene
riaperto meccanicamente con l'angioplastica) oppure si creano in tempo
dei circoli collaterali.
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