Che cos'è?
L'Angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea (PTCA) è una metodica
che consente, senza un vero e proprio intervento chirurgico, di dilatare
le arterie
che diffondono il sangue alle strutture cardiache (arterie
coronariche) nel
caso che queste arterie siano totalmente o parzialmente occluse dalle placche
aterosclerotiche.
Come si esegue?
Dal punto di vista tecnico, l'angioplastica ricalca gli schemi e le
modalità d'esecuzione
della coronarografia. Infatti il tutto si svolge nel Laboratorio
di Emodinamica,
dove opera personale altamente specializzato ed addestrato ad effettuare anche
comuni manovre di rianimazione. Il paziente, posto sul lettino di cateterismo,
viene attentamente seguito e valutato attimo per attimo in tutte quelle che
sono le funzioni vitali (polso, pressione, ritmo cardiaco) e vengono approntate
tutte le misure farmacologiche e non farmacologiche atte a contrastare eventuali
urgenze. Il paziente dovrà avere in precedenza effettuato un bagno o una doccia
ed essere stato sottoposto alla rasatura dei peli nella zona attraverso la
quale verrà introdotto il catetere.
Dopo aver effettuato l'anestesia locale
a livello dell'inguine, viene introdotto nell'arteria femorale un tubicino
(introduttore) di calibro adeguato a contenere i vari cateteri utilizzabili
per la coronarografia prima e per l'angioplastica dopo.
Terminata la valutazione dell'anatomia coronarica e la localizzazione
della/e stenosi responsabile/i delle manifestazioni cliniche della
malattia ischemica,
vengono introdotti, sempre in anestesia locale, i cosiddetti "cateteri
a palloncino" capaci di tollerare una pressione di gonfiaggio fino a 20-25
atmosfere, che consente loro di raggiungere, una volta completamente gonfi,
un diametro variabile da 1,5 a 5 mm in base al diametro del vaso da trattare.
Questi cateteri, grazie ad una guida metallica di calibro
estremamente ridotto, vengono
fatti procedere all'interno delle coronarie fino a raggiungere il restringimento
che occlude totalmente o parzialmente il vaso: a questo punto il palloncino
viene gonfiato "modellando" e "frantumando" la placca aterosclerotica
e restituendo in questo modo un adeguato diametro al vaso.
È possibile oggi applicare nel lume del vaso un particolare supporto metallico
denominato "stent", che consente di ridurre l'incidenza
della restenosi se utilizzato nel corso della prima procedura di angioplastica
oppure di trattare
con elevata percentuale di successo la lesione riformatasi nei sei mesi successivi
alla PTCA. Dopo la procedura è opportuna una degenza di 12/24 ore. In caso
di applicazione di STENT sarà adottata una "vigorosa" terapia
con antiaggreganti piastrinici (acido acetilsalicilico + ticlopidina o clopidogrel).
A cosa serve e a chi consigliarla?
Scopo della angioplastica coronarica è di ripristinare in una determinata
regione del muscolo cardiaco un adeguato flusso sanguigno evitando
la comparsa degli
eventi clinici che caratterizzano l'ischemia miocardica (angina da sforzo
e/o a riposo, infarto miocardico).
Tuttavia, nel 15-30% dei casi ed entro 6 mesi dalla
procedura, la stenosi coronarica precedentemente dilatata tende a riformarsi
(restenosi) costituendo nuovamente un ostacolo al flusso sanguigno ed
impedendo così una normale irrorazione del corrispondente territorio
miocardico. In questi casi la PTCA può essere ripetuta con le stesse
probabilità di successo e senza aumento dei rischi. Inoltre, si ricorda
che è possibile trattare con successo le restenosi applicando all'interno
della coronaria malata quel particolare supporto metallico chiamato STENT.
Quali sono le possibili complicazioni?
Le possibili complicanze sono legate sia alla esecuzione della coronarografia
sia alla successiva angioplastica. L'insorgenza di importanti complicazioni
durante o comunque per causa di una coronarografia è da considerarsi un evento
veramente infrequente. La mortalità è di circa 1% con un' incidenza di infarto
acuto dello 0.2-3%. L'incidenza di complicazioni locali minori (ematoma nella
sede di puntura dell'arteria femorale) è del 1-3%.
Naturalmente la probabilità di complicazioni dipende
strettamente dalla gravità della malattia coronarica di base, dalla capacità del
ventricolo sinistro (una delle camere da cui è composto il cuore) di
contrarsi e di svolgere correttamente le sue funzioni e più in generale
dall'età (l'età più avanzata può ovviamente avere maggiori complicazioni)
e dallo stato di salute complessivo del paziente.
Oltre quelli connessi con il cateterismo cardiaco, i
rischi dell'angioplastica coronarica sono correlati con le caratteristiche
della placca aterosclerotica che restringe il lume del vaso. Infatti
mentre per le lesioni coronariche dette di tipo "A" (lesioni
brevi e concentriche, poste su di una parte di coronaria non angolata
e senza calcificazioni) la percentuale di insuccesso è molto bassa, per
le lesioni di tipo "C" (lunghezza > 20 mm, tortuosa, posta
in una sede dove le coronarie si dividono dando origine a due o più vasi
di diametro inferiore) e per le occlusioni totali di oltre 3 mesi, la
percentuale è lievemente maggiore. Altri rischi sono:
- evoluzione verso l'infarto miocardico acuto = 2.5% dei casi;
- intervento chirurgico d'urgenza = 2% dei casi;
- morte = 0.5% dei casi.
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