Emodinamica
2003; 33:2-10
Remo Albiero
Laboratorio di Emodinamica,
Clinica S. Rocco di Franciacorta, Ome (Brescia)
INTRODUZIONE
Il rischio di un intervento
di rivascolarizzazione coronaria percutanea (PCI) è generalmente valutato
in relazione alla probabilità di un insuccesso procedurale e di complicazioni
ischemiche maggiori (morte, IMA, re-PCI o bypass di emergenza). Tale
rischio dipende dalle condizioni cliniche del paziente, dalle caratteristiche
angiografiche delle lesioni da trattare e da fattori procedurali.
Numerosi studi [1-5] hanno
dimostrato che il rischio della PCI è aumentato in presenza di certe caratteristiche
cliniche (diabete mellito, l'insufficienza renale, la disfunzione del ventricolo
sinistro, problemi ematologici,
una valvulopatia, una vasculopatia cerebrale o periferica, l'età avanzata > 80
anni), e/o di particolari condizioni fisiopatologiche come una sindrome coronarica
acuta (angina instabile o IMA), shock cardiogeno e scompenso cardiaco congestizio.
La presenza di malattie extracardiache concomitanti, oltre ad aumentare il
rischio
della PCI può anche essere una controindicazione all'intervento di bypass di
emergenza in caso di complicazioni durante la PCI.
L'alto rischio di chiusura acuta del vaso associato con l'angioplastica convenzionale
di lesioni
coronariche complesse è stata ridotta dalla possibilità di impianto di stent,
mentre la tecnica di impianto dello stent ad alta pressione (>12 atm) associata
all'uso sistematico della terapia antiaggregante piastrinica con aspirina associata
a ticlopidina/clopidogrel ha drasticamente diminuito a meno dell'1% la temuta
trombosi subacuta [6-8]. L'avvento degli stents di seconda generazione
(pre-montati, più flessibili, di diverse lunghezze) ha poi consentito di espandere
le indicazioni all'impianto di stent a lesioni piú complesse e a maggior rischio
[9] (tronco comune della coronaria sinistra [10],
lesioni calcifiche [11], vasi di diametro < 3 mm [12],
vasi diffusamente malati [13]
in biforcazioni [14], vasi tortuosi, graft arteriosi [15]
e venosi [16]).
Il rischio di una PCI può essere stimato calcolando il numero delle caratteristiche
cliniche, angiografi che e procedurali sfavorevoli presenti [17].
Gli studi più recenti indicano che le variabili cliniche (ad esempio FE < 35%
ed IMA recente) sono più importanti delle variabili angiografiche nel predire
il rischio di complicazioni [18].
PREVENZIONE DELLE COMPLICANZE NELLE PCI
SUI PAZIENTI AD ALTO RISCHIO
La PCI su un paziente ad alto rischio dovrebbe essere eseguita da un operatore
esperto nell'utilizzo degli stents, di strumenti per l'aterectomia e la
trombectomia, e nell'utilizzo di supporti emodinamici come il contropulsatore
aortico [19]. Il rischio della PCI può essere ridotto "prevedendo" le
possibili complicazioni.
È
perciò importante: a) conoscere bene il paziente per prepararlo opportunamente
all'intervento; e b) ripassare sempre mentalmen te la strategia di trattamento
prima dell'intervento.
Di seguito sono elencati i principali fattori di rischio e le misure profilattiche
da adottate per ridurre le possibili complicanze associate:
- in un paziente
diabetico è importante una preventiva idratazione, mentre se è in
terapia con metformina e valori di creatininemia > 1.5 mg/dl dovrebbe
sospendere la terapia con Metformina almeno 24 ore prima e per 48
ore dopo l'intervento per ridurre il rischio di acidosi lattica;
- occorre sempre
valutare l'idratazione del paziente, tenendo presente che la deplezione
del volume intravascolare aumenta l'effetto ipotensivo del mezzo
di contrasto, dei nitrati e dell'ischemia, mentre una eccessiva somministrazione
di fluidi per via e.v. può indurre una insufficienza cardiaca nei
pazienti con ridotta riserva contrattile del VS;
- gli squilibri elettrolitici
andrebbero corretti prima dell'intervento per ridurre il rischio
di aritmie;
- in un paziente
già in terapia con dicumarolici l'intervento dovrebbe essere differito
fino a quando il TP è inferiore a 1,5-1,7 di INR per ridurre il rischio
di complicazioni emorragiche;
- nelle PCI ad alto
rischio è inoltre importante discutere il caso con il cardiochirurgo
prima dell'intervento al fine di programmare le strategie di intervento
e le possibili opzioni terapeutiche nel caso si manifestassero delle
gravi complicazioni;
- se il paziente
ha una insufficienza renale pre-esistente o insufficienza renale
anamnestica dopo esposizione a mezzo di contrasto deve essere ben
idratato prima e dopo la procedura con soluzione fisiologica. Recenti
studi suggeriscono l'uso concomitante di N-acetil cisteina (Fluimucil)
o fenoldopam (agonista del recettore dopaminico-1) [20,21].
Oltre all'utilizzo della minima quantità di mezzo di contrasto, in
caso di severa insufficienza renale è spesso utile programmare una
seduta di dialisi prima e/o subito dopo la PCI;
- un paziente con
anatomia coronaria complessa (ad esempio se vi è il rischio di occlusione
di rami secondari) dovrebbe essere pre-trattato, in assenza di contro
indicazioni, con inibitori del recettore piastrinico GP IIb/IIIa
(anti-IIbIIIa), indi pendentemente dal "device" utilizzato per la
PCI [22-24]. Il trattamento dovrebbe essere iniziato
prima dell'intervento per prevenire le complicazioni, piuttosto
che riservarlo al caso in cui la complicazione è già avvenuta;
- in presenza di
una severa disfunzione del VS è utile eseguire la procedura con un
supporto emodinamico come il contropulsatore aortico al fine di prevenire
la comparsa di severa ipotensione. In alternativa si può inserire
solamente un introduttore 4 French nell'arteria femorale controlaterale
per velocizzare il tempo di inserimento del contropulsatore nel caso
fosse richiesto in emergenza;
- in un paziente
con turbe maggiori della conduzione AV o nel caso in cui vi sia un
aumentato rischio di "no-reflow" (come in presenza di un grosso trombo
endoluminale, o interventi su un graft venoso degenerato, o quando
venga utilizzato il Rotablator) nel territorio di distribuzione della
coronaria destra o circonflessa dominante è utile inserire un pacemaker
temporaneo;
- in un paziente
con aritmie ventricolari maggiori anamnestiche è utile il posizionamento
sulla cute del torace di piastre adesive per la defibrillazione;
- in un paziente
ad alto rischio è talvolta utile prevedere la presenza di un anestesista
in sala di emodinamica per garantire sia una adeguata sedazione ed
analgesia del paziente che una eventuale rapida intubazione in caso
di arresto cardiocircolatorio e rianimazione cardio-polmonare.
Il successo della procedura
dipende anche dalla adeguata selezione del materiale per angioplastica.
Sono elencate di seguito
le principali indicazioni al riguardo:
- l'impianto elettivo
di uno stent è il più semplice approccio per ridurre la probabilità di
occlusione acuta del vaso e la restenosi a distanza [25];
l'operatore deve decidere il tipo di stent più appropriato per il
paziente e la lesione da trattare: è perciò necessaria una conoscenza
delle diverse caratteristiche dei singoli stent attualmente disponibili
sul mercato [26], che li rende più o meno adatti
per particolari tipi di lesioni coronariche complesse e a maggior
rischio di complicazioni: quelle in curva,
le lesioni ostiali, in sede di biforcazione, sul tronco comune, le
lesioni calcifiche, le occlusioni totali, nei piccoli vasi, nei graft
venosi, quando vi è una minaccia di occlusione del vaso, o in sitazioni
speciali come un aneurisma;
- è utile usare un
catetere guida di diametro maggiore di 6 French in caso di IMA. Questo
accorgimento permette:
- di utilizzare sistemi/
cateteri trombo-aspiranti (spesso 8F compatibili);
- di eseguire un "kissing
balloon" su una biforcazione in cui la branca laterale abbia un diametro
superiore a 2 mm;
- di eseguire (solo
se necessario) un intervento di aterectomia (DCA o Rotablator);
- il Rotablator è un
importante strumento utilizzato prima dell'impianto di stent soprattutto
in lesioni fibrocalcifiche non dilatabili con il solo palloncino
da angioplastica;
- i sistemi di protezione
dalla embolizzazione distale dovrebbero essere sempre usati in corso
di interventi su graft venosi degenerati;
- talora sono necessarie
tecniche di imaging aggiuntive come l'eco intravascolare (IVUS),
molto utile per ottimizzare il risultato finale [27];
- nel laboratorio
non dovrebbero mancare dei palloncini da perfusione da utilizzare
quando sono richiesti gonfiaggi prolungati per trattare perforazioni,
in particolare quando non è possibile l'impianto di uno stent ricoperto
da PTFE.
Un altro fattore importante nelle PCI ad alto rischio è l'abilità manuale
e la capacità decisionale intra-procedurale dell'operatore, il quale:
- deve lavorare velocemente
e manipolare correttamente il catetere guida per evitare periodi
di ischemia prolungata. Una scorretta manipolazione del catetere
guida può indurre ischemia miocardia mediante trauma dell'ostio coronario,
ostruzione del flusso da intubazione profonda della coronaria; anche
la scelta di un catetere guida di diametro maggiore rispetto a quello
della coronaria incannulata può causare lo stesso effetto;
- adottare la filosofia
di raggiungere lo scopo "principale" dell'intervento, accettando
di non completare come previsto la procedura quando il rapporto rischio/beneficio è sfavore
vole. In altre parole, nei pazienti ad alto rischio l'operatore deve
essere in grado di modificare rapidamente la strategia iniziale,
sapendo quando deve fermarsi per salvaguardare la salute del paziente,
e anche se a scapito del mancato raggiungimento del risultato ottimale
che si era prefissato di ottenere.
Non bisogna poi trascurare
il decorso intra-ospedaliero succes sivo all'intervento che va curato
in modo particolarmente accurato. I pazienti ad alto rischio dovrebbero
essere trasferiti in una unità dotata di telemetria dopo la PCI. Una
notte di osservazione in UTIC è preferibile nei casi in cui la procedura è complicata
da un risultato angiografico subottimale o se vi è necessità di mantenere
in funzione il pacemaker o il contropulsatore aortico. Il monitoraggio
emodinamico invasi vo dovebbe essere continuato fino a quando il paziente
non si è stabilizzato, di solito per almeno 24 ore.
Infine, occorre pensare anche al follow-up a distanza: è buona norma per esempio
considerare un follow-up angiografico elettivo in pazienti con una lesione
trattata sul tronco comune, oppure nel caso vengano trattate più lesioni lunghe
in vasi piccoli ed in più di un vaso coronarico.
CARATTERISTICHE ANGIOGRAFICHE PREDITTIVE
DI AUMENTATO RISCHIO DI COMPLICAZIONI E STRATEGIE DI RIDUZIONE
DEL RISCHIO.
Le lesioni ideali per
una PCI sono quelle isolate, focali, non-calcifiche, prossimali, non
occlusi ve e concentriche. In queste lesioni "semplici", vi è un basso
rischio di complicazioni peri-procedurali. Al contrario, le lesioni
coronariche più complesse (occlu sioni totali, lesioni fibro-calcifiche,
in curva >60 gradi, lesioni complicate da un trombo endoluminale,
lesioni a livello di una biforcazione, sul tronco comune (TC), in un
graft venoso, lesioni lunghe, in vasi piccoli ed estremamente tortuosi)
sono assoc iate ad un aumentato rischio di complicazioni peripro cedurali.
Va comunque ricordato che le caratteristiche angiografiche sfavorevoli
sono meno importanti come fattore predittivo di compli cazioni peri-procedurali
ischemi che rispetto alle variabili cliniche (ad esempio FE <35%
o IMA recente) [18].
1.
Lesioni su tronco comune non protetto
La malattia del TC
della
coronaria sinistra è presente nel 7% e 15% dei pazienti con angina stabile e
instabile, rispettivamente. La PTCA tradizionale del TC non protetto è tecnicamente
fattibile, ma è associata ad un'alta mortalità procedurale e a distanza [28-30].
Risultati più favore voli sono stati ottenuti con l'impianto di stent in numerosi
studi non randomiz zati [29,31-35], sebbene
sia stata rilevata al follow-up ad un anno una percentuale fino al 20% di eventi
maggiori (morte e ricorso al bypass) [34,35]. Per questo si
suggerisce di eseguire la PCI su TC non protetto solo a pazienti che rifiutano
o sono stati già sottoposti ad intervento di bypass, o che non sono dei buoni
candidati per la chirurgia. La figura 1 illustra un tipico esempio di PCI del
TC distale in un paziente già operato di bypass con arteria mammaria interna
(AMI) sul ramo diagonale stenotico all'ostio e graft venoso sulla coronaria destra:
i due graft erano pervi, ma era ricomparsa un'angina fortemente instabile dovuta
ad ischemia nel
territorio dell'arteria discendente anteriore e del ramo intermedio.
Figura
ingrandita |
Figura
1. PCI
del TC distale in un pz già operato di duplice bypass (AMISx
sul ramo diagonale stenotico all'ostio e graft di vena safena
sulla coronaria dx distale): i due graft erano pervi, ma
era ricomparsa un'angina fortemente instabile per ischemia
nel territorio dell'arteria discendente anteriore (DA) e
del ramo intermedio.
A,
Stenosi critica nel tratto distale del TC della coronaria
sx prima della triforcazione in arteria circonflessa (CX,
occlusa nel tratto medio), arteria DA e ramo intermedio.
B,
Passaggio di 2 fili guida nella DA e nel ramo intermedio
e posizionamento di uno stent Tecnic Carbostent sul TC distale
verso l'ostio della DA.
C,
Gonfiaggio simultaneo di 2 palloncini da angioplatica ("kissing
balloon") sul TC dopo espansione dello stent sul TC-DA e
PTCA sul ramo intermedio passando attraverso le maglie dello
stent.
D,
Risultato angiografico finale dopo "kissing balloon". |
2. Lesioni in graft venosi degenerati
Nelle stenosi presenti
su
graft venosi degenerati vi è un alto rischio del fenomeno del no-reflow legato
alla embolizzazione distale del materiale non trombotico contenuto nel graft
[36]. Con l'utilizzo di palloncini occlusivi (sistema PercuSurge)
o di filtri protettivi montati distalmente a fili guida da angioplastica, come
nel caso illustrato in figura 2, tale rischio è stato significativamene ridotto,
per cui tali sistemi dovrebbe essere sempre utilizzati (quando possibile) durante
una
PCI su un graft venoso degenerato.
Figura
ingrandita |
Figura
2.
Utilizzo
di un filtro per la protezione della embolizzazione distale
in corso di PCI su una lesione stenotica in un graft venoso
degenerato.
A,
Stenosi critica nel tratto prossimale (freccia) di un graft
venoso in vena safena sul ramo bdiscendente posteriore della
coronaria dx.
B,
Posizionamento del filtro (EpiFilter wire, Boston Scientific)
distalmente alla lesione da trattare. Il filtro non è stato
ancora espanso, ed è racchiuso (freccia) all'interno del
catetere di posizionameno ("delivery catheter").
C,
filtro espanso (freccia) dopo aver retratto il "delivery
catheter".
D,
risultato angiografico finale con normale flusso TIMI 3 dopo
impianto di stent nel tratto prossimale del graft (freccia)
e rimozione del filtro. |
3. Lesioni complicate da trombo endoluminale
Rispetto ai pazienti
con angina stabile, i pazienti con sindrome coronarica acuta (angina
instabile o infarto miocardio acuto) sono a maggior rischio di complicazioni
per la presenza di placche ulcerate e trombotiche (fenomeno del no-reflow
[36]), per il loro stato ipercoagulativo, e perchè spesso
non sono trattati con antiag greganti piastrinici quando giungo no
nel laboratorio di emodinamica. Numerosi studi randomizzati hanno ormai
definitivamente dimostrato che nei pazienti sottoposti
a PCI vi è una significativa riduzione degli eventi cardiaci avversi (morte,
infarto miocardico, reintervento, bypass di emergenza, o impianto di stent) quando
vengono trattati con anti IIb/IIIa rispetto a quelli trattati con placebo [22-24].
L'utilizzo di sistemi di aspirazione del trombo (trombectomia) come illustrato
in figura 3, o di sistemi di protezione dalla embolizzazione distale (filtri
o palloni occlusivi), associata o meno all'uso di anti GP IIbIIIa, ha ridotto
il rischio di embolizzazione distale e del fenomeno del no-reflow.
Figura
ingrandita |
Figura
3.
Aspirazione
di due piccoli trombi endoluminali (trombectomia) in un paziente
con angina fortemente instabile insorta più di 48 ore prima.
A,
l'angiografia della coronaria sinistra evidenzia due difetti
di riempimento (freccie) da verosimile trombosi endoluminale
a monte di una stenosi serrata dell'arteria discendente anteriore.
B,
mediante utilizzo di un catetere dedicato per tromboaspirazione
vengono rimossi entrambi i trombi (con aspetto di trombo
organizzato). |
4.
Pazienti con lesioni
multivasali e circoli collaterali
La complessità di una
lesione dipende anche dalla presenza di altre stenosi coronariche e
di circoli collaterali. Il numero di vasi da trattare aumenta il rischio
di complicazioni
anche se con l'uso dello stent questo rischio si è ridotto. La stadiazione della
procedura può essere un mezzo per ridurre il rischio di complicazioni in alcuni
pazienti con malattia multivasale in cui questo rischio sia particolarmente elevato.
Se il vaso da trattare fornisce collaterali ad un altro vaso coronarico occluso,
il rischio della procedura è aumentato, soprattutto quando l'arteria da trattare è il
solo vaso coronarico pervio e/o si distribuisce ad un esteso territorio miocardio:
in questi casi, anche se la lesione da dilatare è di per se stessa semplice (focale,
concentrica, non calcifica), l'intervento deve essere considerato complesso e
a rischio di gravi complicazioni (e di morte) nel caso di occlusione acuta. Quando
si intende comunque trattare questi pazienti ad alto rischio, si consiglia di
posizionare nell'arteria femorale controlaterale un introduttore arterioso 4
French o direttamente il contropulsatore aortico [37].
Sebbene l'impianto
di stent abbia ridotto il rischio di occlusione acuta del vaso, il
rischio rimane elevato quando l'impianto dello stent risulta difficoltoso
come in caso di:
- Tortuosità del vaso
prossimale che si può associare a difficile accesso alla lesione
con il filo guida e il sistema di dilatazione;
- Lesioni fibro-calcifiche
che pongono difficoltà ad attraversare la lesione con il filo guida
e il sistema di dilatazione (pallone/aterotomo /stent) o a dilatarla;
- Lesioni ostiali
ed in sede di biforcazione in cui vi è il rischio di shift di placca
con compromissione/occlusione di una delle due branche della biforcazione;
1)
Tortuosità prossimale ed accessibilità della lesione
Il miglioramento degli
strumenti a disposizione del cardiologo interventista (cateteri guida,
fili guida e cateteri a palloncino) ha reso più semplice l'accesso
alle lesioni complesse. In vasi tortuosi con lesioni molto distali è importante
selezionare il materiale più adatto alla procedura che si deve eseguire.
In alcuni pazienti con vasi estremamente tortuosi o curve prossimali
alla lesioni molto angolate, può essere difficile il passaggio anche
del filo guida, soprattutto nel caso in cui vi sono delle curve in
serie. In queste circostanze è meglio usare un filo guida idrofilico
e flessibile rispetto ad un filo guida rigido. Vi sono comunque alcuni
operatori che utilizzano sempre in questi casi dei fili guida rigidi
ad alto supporto, che sicuramente garantiscono la stabilità del sistema
catetere guida/sistema di dilatazione, ma spesso non agevolano il passaggio
dello stent attraverso la curve del vaso prossimali alla lesione (perchè creano
pseudolesioni da rettilineizzazione del vaso). Potrebbe essere invece
più vantaggioso utilizzare un catetere guida ad alto supporto (curva
XB, EBU o AL invece della tradizionale curva JL) e fili guida più flessibili
e idrofilici ( esempio Choice PT).
Un filo guida ad alto supporto può essere eventualmente fatto avanzare in parallelo
al filo guida più flessibile e posizionato in una branca del vaso prossimale
al tratto tortuoso da attraversare: in questo modo si aumenta il supporto del
catetere guida senza compro mettere il passaggio del palloncino da angioplastica
e dello stent soprattutto attraverso curve molto angolate come nell'esempio
illustrato in figura 4.
La capacità di raggiungere e dilatare la lesione con il palloncino e/o lo stent
dipende oltre che dal grado di angolazione della curva da attraversare, anche
dal tipo di pallone/stent utilizzato.
Rispetto ad esempio agli stent di prima generazione (quello tubulare di Palmaz-Schatz
e quello filiforme di Gianturco-Rubin), gli stents di ultima generazione (premontati
sul palloncini da angioplastica con alta "trackability", flessibili e a basso
profilo) hanno notevolmente aumentato la probabilità di successo nel trattamento
delle lesioni più complesse.
Figura
ingrandita |
Figura
4.
A,
Stenosi serrata (freccia) nel tratto medio dell'arteria DA,
occlusa subito dopo l'origine dal TC. Tre importanti rami
settali e il primo ramo diagonale non vengono perciò sufficientemente
perfusi dal graft venoso (pervio) anastomizzato nel tratto
medio-distale della DA.
B,
un filo guida a medio supporto (BMW, Guidant) è stato fatto
avanzare nel tratto distale della DA (prossimamente al tratto
molto angolato da attraversare) in parallelo ad un filo guida
idrofilico e più flessibile (Choice PT, Boston Sciertific)
che è stato fatto avanzare in via retrograda nella DA media
fino all'interno del primo ramo settale.
C,
angioplastica nel tratto medio della DA e sull'anastomosi
del graft a livello della curva molto angolata di quasi 180°.
D,
Risultato finale dopo impianto di uno stent Medtronic AVE
nel tratto medio della DA. In questo caso il filo guida a
medio supporto ha notevolmente facilitato il successivo posizionamento
in via retrograda sulla DA media del filo guida più flessibile
che ha facilitato il passaggio del palloncino da angioplastica
e l'impianto di stent. |
2)
Lesioni fibro-calcifiche e dilatabilità della lesione
Le lesioni fibro-calcifiche
ed eccentriche sono a maggior rischio di non essere completamente dilatate
mediante PTCA tradizionale.
Inoltre, in questo tipo di lesioni sono più frequenti le complicazioni come
dissezioni, occlusioni trombotiche o recoil elastico del vaso [38,39].
Nei pazienti con questo tipo di lesioni, la possibilità di impianto di stent
ha ridotto le complicanze procedurali e la necessità del ricorso al bypass
di emergenza.
È
contro indicato comunque impiantare uno stent in una lesione fibro-calcifica
che non si dilata completamente con il palloncino da angioplastica, ed è talora
molto rischioso utilizzare la tecnica di impianto diretto (senza predilatazione)
di stent in lesioni possibilmente fibro-calcifiche che si possono dimostrare
poi indilatabili.
In questo tipo di lesioni è importante disporre del cutting balloon o dell'aterectomia
rotazionale11 per trattare la lesione con successo prima dell'impianto dello
stent.
3)
Lesioni in sede di biforcazione ed ostiali
Quando si tratta una
biforca zione, aumenta il rischio di com promettere una delle due branche.
Nella figura 5 è illustrato un caso di occlusione del tronco comune
a valle della quale era presente una stenosi all'ostio dell'arteria
DA e dell'arteria Cx. In questo caso la riapertura del TC era associata
ad un alto rischio di infarto in caso di compromissione dell'ostio
della arteria Cx. Nelle biforcazioni non associate ad occlusione prossima
le, se la branca minore della biforcazione è stenotica alla sua origine,
il rischio di occlusione di tale branca durante angioplastica è compreso
tra il 14% e 27% [40,41]. Le tecniche sempre più complesse
utilizzate per il trattamento delle biforcazioni: dalla PTCA tradizio
nale all'utilizzo del cutting bal loon, dell'aterectomia direzionale
[42] e rotazionale, fino all'impianto di stent con
tecnica a V, a Y, a T [43], a culotte, a gonna [44]
richiedono una maggior esperienza dell'operatore rispetto a quella
richiesta per il trattamento di lesioni in segmenti non biforcati.
Nel caso di impianto di stent, si raccomanda attualmente di limitare
se possibile l'impianto di stent alla branca principale, dilatando
con palloncino la branca minore, e di eseguire sistematica mente un
gonfiaggio contempora neo finale con 2 palloncini su entrambe le branche
("kissing balloon") [14] per evitare che lo stent
nel vaso
principale venga deforma to dopo che è stata dilatata la branca secondaria. Le
lesioni ostia li (aorto-ostiali o in sede di biforca zione) si dilatano spesso
in modo subottimale anche dopo impianto di stent, presentando spesso un marcato
recoil elastico. Per questo necessitano talvolta di un pre-trattamento con cutting
balloon, o mediante aterectomia rotazionale o direzionale (se il diametro del
vaso è abbastanza grande). L'aterectomia facilita la successiva dilatazione del
vaso ed riduce la probabilità di spostamento della placca dopo il successivo
impianto di stent.
Figura
ingrandita |
Figura
5.
Ricanalizzazione
ad alto richio del TC della coronaria sx.
A,
Occlusione completa di vecchia data del TC (freccia).
B,
stenosi all'ostio dell'arteria DA e dell'arteria CX (freccia)
visualizzate attraverso iniezione nell'arteria mammaria interna
sinistra, pervia, ed anastomizzata nel tratto medio della
DA.
C,
Risultato angiografico finale dopo riapertura del TC con
corretto passaggio del filo guida rigido utilizzato (Cross-it
200) nella CX e impianto di stent sul TC-ostio della CX.
In
questo caso la riapertura del TC era associata ad un alto
rischio di infarto in caso di compromissione dell'ostio dell'arteria
circonflessa. |
CONCLUSIONI
In questo articolo
sono state esaminate le condizioni cliniche, le caratteristiche angiografiche
delle lesioni da trattare e i fattori procedurali che incrementano
il rischio di complicazioni ischemiche maggiori nei pazienti sottoposti
a PCI, analizzando nelle singole circostanze le strategie per la riduzione
del rischio.
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