La prevalenza nella popolazione
generale della pervietà del forame ovale è variabile da
casistica a casistica, ma è comunque molto elevata e si situa
tra il 10 ed il 35%. Tale patologia può essere la causa di embolia
arteriosa paradossa, specie nel territorio cerebrale.
Caso clinico
Una donna di 32 anni, senza precedenti anamnestici di rilievo, fu ricoverata
per stato soporoso, emiplegia sinistra, deficit del VII e XII nervo
cranico, preceduti da cefalea all'emicranio destro ed astenia. Una
TAC encefalo, poi confermata da una risonanza magnetica (RM)evidenziava
un'ampia lesione ischemica di tutto il territorio irrorato dall'arteria
cerebrale
media
destra. Un'angio-RM
non mostrò malformazioni vascolari significative. Tutti gli
accertamenti eseguiti per evidenziare una possibile patologia emboligena
risultarono negativi, compreso l'ecocardiogramma transtoracico (ETT),
così come tutti gli esami ematochimici relativi ad altre cause
di ictus ischemico: screening reumatologico, endocrinologico, infettivologico.
Dopo un mese
di degenza, la paziente presentava ancora emiparesi dell'arto inferiore
ed emiplegia dell'arto superiore sinistro. Quando le condizioni cliniche
della paziente lo consentireono, fu eseguito un ecocardiogramma transesofageo
(ETE) che permise di evidenziare un atrio sinistro nella norma, ma
un forame ovale pervio (PFO),
con shunt destro-sinistro dopo iniezione di soluzione salina (ecocontrasto)
nella vena antecubitale del braccio. Dopo circa 8 mesi di fisiochinesiterapia,
la paziente raggiunse un pressoché totale recupero motorio e
fu poi sottoposta a chiusura non chirurgica per via percutanea (transcatetere)
del PFO, con ottimi risultati.
Conclusioni
Data l'alta prevalenza del PFO, questa patologia deve sempre essere indagata
in caso di stroke criptogenetico. La scarsa sensibilità dell'ETT,
però, impone, in tutti questi casi, l'esecuzione di un ETE con
verifica di un possibile shunt destro-sinistro, considerando anche
che le attuali tecniche transcutanee sono sicure ed efficaci e consentono
un'elevata percentuale di successo evitando il ricorso a terapie farmacologiche
protratte e più impegnative, come quella anticoagulante.
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